D. Flammer u.a.: L’eredità culinaria delle Alpi

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Titel
L’eredità culinaria delle Alpi.


Autor(en)
Flammer, Dominik; Müller, Sylvan
Erschienen
Bellinzona 2013: Casagrande
Anzahl Seiten
368 S.
Preis
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Rezensiert für infoclio.ch und H-Soz-Kult von:
Stefania Bianchi

Buono da mangiare è il titolo di un saggio di Marvin Harris che considera le diverse abitudini alimentari in relazione alle possibilità di approvvigionamento e al rapporto culturale che ogni etnia ha con ciò che consuma. Mangiare è certamente fin dall’antichità una necessità primaria che l’uomo ha risolto sfruttando le risorse della natura. Quindi ha imparato a gestire le risorse e, con l’incontro fra civiltà, a “scambiare” animali e soprattutto piante. Una prima importante tappa della “globalizzazione” dei consumi la dobbiamo alla scoperta dell’America che ha generato un’osmosi a tutto campo che in tempi recenti ha visto un’accelerazione di questi scambi.

L’alimentazione, inoltre, è uno degli aspetti che determina la qualità della vita non solo dal punto di vista biologico ma anche socioaffettivo, documentato anche da opere letterarie quali Il pranzo di Babette di Karen Blixen o Chocolat di Joanne Harris, ed eticoculturale rappresentato ad esempio dalla specificità dei cibi durante la quaresima che però non corrisponde necessariamente a un concetto di privazione. Questo tema è oggetto di numerosi e recenti studi, indagini storiche e antropologiche sia sulla memoria alimentare, sia sul rapporto fra cibo ed identità alla cui sfera appartengono le relazioni fra cibo ed emigrazione e quelle fra cibo ed integrazione.

In quest’ottica L’eredità culinaria delle Alpi è un esemplare sincretismo di tradizioni e risorse, interpretate nella lettura della relazione fra produttori, prodotti e strategie di trasformazione o di conservazione nel rispetto della biodiversità. Dalle immagini e dai testi si percepiscono il tempo del lavoro, il senso delle stagioni, i cicli della vita di uomini, animali e vegetali. Ambiente, usi e costumi e profumi si rincorrono tra le pagine dove volti di alpigiani ed alpigiane e profili “bestiali” raccontano memorie di vita, svelando sfumature che ricordano le riflessioni dei viaggiatori del Settecento. Come scrivono gli autori, «il filo conduttore è l’incessante ricerca di alimenti di qualità superiore» attraverso un viaggio nel tempo, dal momento che per molti prodotti viene tracciata una descrittiva biografia dalle origini ad oggi, fra i sapori antichi, persi e ritrovati, o rinnovati attraverso la mobilità delle genti e delle cose.

La carrellata tematica si apre con un primo capitolo doverosamente dedicato ai cereali poveri che hanno caratterizzato i consumi della montagna. Quindi seguono i grassi, i formaggi, le carni e il pesce. Poi la frutta, le radici e le erbe, le spezie, gli aromi e le essenze che completano la costruzione di un’identità culinaria specifica per alcuni luoghi e per alcuni prodotti. Tutto è reso attraverso immagini suggestive, che hanno la stessa ruvida e sobria bellezza contadina delle fotografie che documentano il mondo rurale dei due preziosi volumi di Scheuermeyer, Il lavoro dei contadini: cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera retoromancia, – usciti nell’edizione originale tedesca fra il 1943 e il 1956 – mentre i musi degli animali ricordano il saggio tardo cinquecentesco di Giovan Battista della Porta, De humana physiognomia che, come commenta Umberto Eco nella sua Storia della Bruttezza (Milano 2007), ci ha lasciato «affascinanti immagini di uomo-pecora, o uomoasino, partendo dalla persuasione filosofica che la potenza divina manifestasse la sua saggezza regolatrice anche nei tratti fisici, stabilendo analogie tra mondo umano e mondo animale».

E questi ungulati, dallo sguardo perso, condividono con eleganti pennuti il glossario delle prelibatezze alpine che conclude questo intenso percorso. Ricca anche la bibliografia che però, ci si rammarica, manca un po’ di latinità pensando ai molti studi, a riviste e a meeting che si sono occupati di cultura materiale alpina a tavola o complessivamente di cultura alimentare e rapporto fra società e risorse. Penso in particolare al n. 15 della rivista «L’Alpe», À table! Saveurs et savoirs (Grenoble 2002), agli atti del Seminario Permanente di Etnografia alpina del 2004, Pane e non solo: etnografia e storia delle culture alimentari nell’arco alpino e, in termini più generali a Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, Storia dell’alimentazione (Bari 2003); Massimo Montanari e Françoise Sabban, Atlante della alimentazione e della gastronomia (Torino 2004). Analogamente anche gli spazi geografici maggiormente latini sembrano sottorappresentati, in particolare il Piemonte e la regione prealpina e dolomitica veneta, territori dove il mare e la montagna si incontrano.

Le acciughe, grazie a generazioni di colporteurs, seguivano le antiche vie del sale attraverso le alpi occidentali, mentre lo scopetòn, l’atlantica aringa, risaliva e risale le vallate venete. È un piatto che i miei parenti ed amici bellunesi ancora preparano quando cadono i primi fiocchi, accompagnandolo con la polenta. Altrimenti la polenta la si gusta con il pastin, carne tritata di maiale e manzo salata e speziata, o con lo schiz, formaggio fresco che deve il suo nome agli esuberi di pasta che fuoriuscivano dalle fascere. Ma non solo; in primavera si va a caccia dei primi denti di leone che spuntano tra la neve perché le loro radici, ancora morbide, sott’olio sono squisite, e più avanti si raccolgono i briscandoi, i gettiti spontanei del luppolo selvatico, per frittate o minestre. E se si consumano fagioli, questi sono rigorosamente i Lamon, dal colore nocciola striato di viola. Queste e altre cose sono la mia modesta eredità culinaria, un piccolo segno d’appartenenza ad una cultura alimentare alpina cui Dominik Flammer e Sylvan Müller hanno dato luce, voce, colori, ma soprattutto dignità nella salvaguardia della diversità delle specie e dei prodotti.

Zitierweise:
Stefania Bianchi: Recensione di: Flammer Dominik, Müller Sylvan: L’eredità culinaria delle Alpi Bellinzona, Casagrande, 2013. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, Vol. 156, pagine 126-128.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, Vol. 156, pagine 126-128.

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